Ciao Sque, presentati ai nostri lettori.
«Sono Luca Squeglia, in arte “Sque”.
Amo la musica come fosse la cosa più preziosa che ho e sono estremamente motivato nel vedere la gente che si lascia trasportare dalla musica. Ritengo che quest’ultima abbia un potere così forte che, al giorno d’oggi, non venga valorizzata nel giusto modo.
Forse negli anni ’60 le veniva dato il giusto valore, ma oggi ci si sta perdendo in dei grandi bicchieri d’acqua.»
Come nasce la tua passione per la musica?
«La mia passione per la musica nasce in tenera età grazie a mio padre.
Fin da quando ero piccolo, infatti, mi metteva sempre a dormire con i canti gregoriani in sottofondo.
Una volta cresciuto, mi ha alimentato a pane e Stevie Wonder, Police, Paolo Conte, De Andrè, De Gregori e Aretha Franklin.
La mia passione per la musica si è veramente consolidata conoscendo Bob Dylan. Ho sempre voluto diventare un cantastorie, o meglio…un cantastorie con la potenza di Stevie Wonder.»
Quali sono i tuoi modelli di riferimento?
«Il mio primo modello di riferimento è stato, ed ancora è, Stevie Wonder. Ma, al giorno d’oggi, cerco di studiare il modo di vivere la vita, la musica e tutto quello che riguarda alcuni artisti odierni, quali Lady Gaga, Beyoncè, Demi Lovato, Miley Cirus, Ed Sheeran, Will Smith, Usher, Jamie Foxx, Paolo Villaggio, Fabrizio De Andrè.
Vorrei poter sapere tutto su tutti i più grandi che ci sono stati e ci sono, ma sono veramente tantissimi.»
Potessi realizzare il duetto dei tuoi sogni con artisti di ogni era, quale sceglieresti?
«Serve dirlo? Stevie Wonder.»
Quando hai iniziato a scrivere canzoni?
«Ho iniziato a scrivere canzoni a 16 anni, quando sono entrato a far parte della mia prima band. Facevamo Rock-Progressive e non proprio una cosa cantautoriale, ma scrivevo canzoni sia per loro che per me.»
Ti ricordi il titolo della prima canzone che hai scritto?
«Purtroppo no.
Cambio idea così velocemente che la mia testa viaggia più veloce delle mie mani: nella mia testa, infatti, scrivo miriadi e miriadi di canzoni, ma le mie mani non sono così veloci.
Quello che riesco a catturare subito, però, è se una cosa è buona o da cestinare.»
C’è un brano, tra gli inediti, che ti rappresenta maggiormente?
«Tutti i pezzi parlano di me, di alcuni tratti della mia vita e di come vivo la musica.
“N’è valsa la pena” parla della prima scottatura che ho preso per amore, “Something’s happening” di come vivo la musica in generale, relazionata ad un fatidico rapporto uomo-donna.
Il pezzo che mi rappresenta di più è “I found my Way” perché parla di quest’ultimo periodo, in cui ho iniziato a suonare per strada.
L’arte di strada mi ha fatto riscoprire un amore per la musica assopito ormai da anni.»
Quali sono state le maggiori difficoltà incontrate finora? La ricerca di un’etichetta, la scelta di un genere particolare o la creazione di un’identità ben definita?
«Sicuramente trovare una mia identità musicale.
Credo che la cosa più importante sia l’essere sicuri di se stessi: io lo sono sempre stato e tuttora lo sono. Mi reputo una persona piuttosto timida e introversa.
Ognuno può cercare di cambiare se stessi, ma la gran figata è trasformare i propri punti deboli in forza, a patto che si stia bene con se stessi e con le persone intorno.»
Quando un artista, secondo te, può essere definito tale? E qual è il momento giusto per spiccare il volo?
«Bella domanda.
Un artista può essere definito tale quando non ha paura di metterci la faccia: quando lo fa è perché sotto c’è stato un lavoro veramente duro e costante e, per lavoro, non intendo solamente lo studio tecnico, ma anche esperienze e situazioni vissute.
Credo che quello sia il momento giusto per iniziare a mettersi sotto i riflettori.»
Sappiamo che dal 2012 fai parte della “Reggae band Groov A Nation”: quando e come hai conosciuto gli altri membri della band?
«I membri della band sono praticamente gli stessi con cui ho vissuto le più belle esperienze scolastiche, musicali e di amicizia. Con loro prima suonavo Rock-Progressive, poi abbiamo cambiato totalmente e iniziato a fare Reggae con i Groov A Nation.
Dopo 7 anni di stupende emozioni, siamo arrivati ad un punto di rottura.
Tutt’oggi ci vediamo e suoniamo assieme, ma ognuno ha deciso di intraprendere diverse strade. Com’è normale che sia.
So, però, che quando arriverà il momento, la nostra solida amicizia ci porterà a suonare nuovamente assieme e, magari, su grandi palchi.»
Poi hai avviato Sque, il tuo progetto da solista: da dove deriva questo nome d’arte e cosa cambia rispetto all’esperienza con la band?
«Sque è il diminutivo di Squeglia, il mio cognome, ed è un soprannome che mi hanno attribuito i miei amici.
Partendo dal presupposto che la musica per me è un mezzo per migliorarmi sempre di più, l’esperienza da solista cambia parecchio rispetto a quella con la band.
Ora sono solo e, quando suono per strada davanti alla gente, cerco di mettermi più a nudo possibile per esteriorizzare quello che sono e conoscermi sempre meglio.
Sono due esperienze diverse, ma bellissime e complementari.»
Lo scorso 18 Dicembre hai pubblicato il tuo primo Ep da solista. Come sta andando? E quali tematiche possiamo trovare all’interno?
«La risposta al momento è buona, agli ascoltatori sta piacendo.
Dentro si possono trovare tematiche come amore, self belief, rabbia, voglia di fare, determinazione. Cose mirate a conoscersi sempre di più.»
Oggi come definiresti la tua musica?
«Come genere musicale direi Pop.
Molti lo screditano ma, per fare del buon Pop, bisogna sudare molto.»
Che rapporto hai con il tuo pubblico? E che tipo di pubblico è il tuo?
«Cerco sempre di avere un contatto diretto con il pubblico.
Come dico sempre ad ogni concerto: “da queste situazioni imparo tanto io da voi, quanto voi da me”. Ora come ora non saprei definire il mio pubblico perché non sono un artista Worldwide o Europewide, ma ci sto lavorando.»
Che differenze emotive ci sono secondo te tra il cantare in studio ed esibirti live?
«Son due cose diverse, ma uguali allo stesso tempo.
In studio forse c’è un lavoro più accurato e di precisione. Quando sei sul palco, invece, te ne devi proprio sbattere e attuare il detto “impara l’arte e mettila da parte”.
Non ci sono assolutamente regole ma, secondo me, l’apporto emozionale deve essere lo stesso sia nell’uno che nell’altro caso.»
Come e quanto sei cambiato dall’inizio della tua carriera?
«Devo dire che son cambiato parecchio: ho imparato a diventare più umile.
Ritengo che un artista, nel corso della sua carriera, debba cercare più i fallimenti che le vittorie perché sono proprio le sconfitte che ti fan crescere di più.
Di sconfitte emotive ne ho avute parecchie e so che ancora ne arriveranno, ma ho imparato a non aver paura e ad affrontarle di petto. Dopotutto avvengono per un bene superiore.»
Che consiglio daresti ai giovani che, come te, vorrebbero avvicinarsi a questo mondo?
«Come dice Ainè in un suo articolo: “la musica va curata e studiata”.
Quindi studiate musica, mettetevi in gioco e non abbiate paura dei fallimenti. Stringete i denti e rialzatevi. Ogni colpo preso vi renderà più forti.»
Rosaria Vecchio, creatrice di Pillole di Musica Pop, un piccolo spazio per gli amanti del pop, dove poter parlare di musica a 360°, senza particolari limiti o censure.
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