Dopo aver conosciuto Andrea Candolfo, giovane cantautore milanese, oggi vi proponiamo l’intervista a Marco Baroni, artista sassolese e volto noto del piccolo schermo.
Classe 1983, Marco Baroni, è un musicista e cantautore, sassolese di nascita e d’adozione. Si avvicina al mondo della musica grazie al padre e, fin dall’età di 5 anni, suona la tromba nella banda “La Beneficienza”.
Nel 1999 esordisce nel cinema grazie al film “A domani” di Gianni Zanasi e nel 2007 scrive “L’immagine che ho di te”, brano che lo ha portato sul palco di Sanremo e che gli ha regalato alcune importanti esperienze, come la collaborazione con Nek.
Come di consueto vi proponiamo l’intervista integrale. Buona lettura!
Ciao Marco, presentati ai nostri lettori.
«Ciao a tutti, mi chiamo Marco Baroni e sono felice di potervi raccontare qualcosa di me. Sono una persona comunissima, con una grande passione per la musica e per la scrittura di canzoni: alcune le canto io, altre le ho regalate ad alcuni big della scena pop italiana.»
Come e quando ti sei avvicinato alla musica?
«Ero molto piccolo. A 5 anni iniziai a studiare solfeggio e la tromba – il mio primo strumento – nella banda “La Beneficienza” perché, già in tenerissima età, manifestai ai miei genitori un interesse per la musica.
Da lì è cominciato tutto. Mio padre era un grande ascoltatore di musica e a sua volta suonava la chitarra, ma il suo primo strumento fu proprio la tromba.»
Chi ti ha supportato maggiormente in questa avventura?
«I miei genitori e mio fratello sono le persone che fin da subito hanno creduto in me. Non ho mai sentito la lontananza da questo punto di vista. Mi hanno sempre spronato ad andare avanti a denti stretti in ogni situazione. Mi sento molto fortunato!»
Quali sono i tuoi modelli musicali di riferimento?
«Il cantautorato italiano è il mio grande amore. Potrei citarne a decine, ma mi limiterò a dirvi che Fabrizio De Andrè, Ivano Fossati e Pierangelo Bertoli sono da sempre i miei modelli di riferimento. Poi, crescendo, ho sviluppato interessi molto forti anche per Niccolò Fabi, Samuele Bersani, Daniele Silvestri e Nino Buonocore.»
Cosa ne pensi dell’attuale scena pop?
«Credo che i talenti non manchino e che ci sia sempre fermento, anche se la musica e la modalità in cui ci viene proposta sono cambiate tantissimo negli ultimi anni. I talent hanno rivoluzionato questo processo: oggi si diventa famosi, poi si fanno i dischi e poi i concerti, mentre una volta si facevano i concerti, poi i dischi, e nei casi più fortunati si diventava qualcuno.
Ci sono artisti che mi interessano e mi piacciono molto, come Francesca Michielin, Annalisa Scarrone, Emma, Michele Bravi e Irama.»
Essendo un artista emergente e non una leva dei talent, quanto è stato difficile per te farti conoscere e apprezzare dal pubblico con le tue sole forze?
«In realtà non è andata proprio così. Sono stato sempre aiutato da diverse persone che si sono avvicinate a me in alcune fasi importanti della mia vita musicale: ho fatto la classica gavetta attraverso i locali, ho suonato in una band, poi mi sono ritrovato a scrivere, ho incontrato il mio primo produttore e abbiamo iniziato a girare per Milano alla ricerca di qualcuno che potesse credere in me e nelle mie canzoni. Dopo anni qualcosa è successo, ma la strada è ancora lunga e non mi ritengo assolutamente arrivato.
Ho solo avuto la fortuna di fare musica e, in alcuni casi, di farmi vedere da un pubblico molto vasto.»
Sappiamo che Alberto Bertoni è stata una figura preziosa per te e per la tua carriera: come vi siete conosciuti e che rapporto avete oggi?
«Alberto Bertoni lo conobbi ad una serata a Sassuolo, dove mi esibii insieme ad altri giovani cantanti giovanissimi e cantai una mia canzone.
Ai tempi era già un autore importante perché aveva collaborato ad alcuni album di successo di Pierangelo Bertoli e Viola Valentino, e scritto anche per Francesca Alotta. Quella sera si avvicinò, si appassionò ai miei brani e cominciammo a frequentarci. In sostanza, mi “insegnò” il mestiere: mi aiutò a cercare le parole giuste, a farmi soffermare sui concetti da esprimere e mi accompagnò anche alla SIAE a Bologna. Da lì mi seguì per oltre dieci anni, dai primi singoli al primo album. Fu lui a farmi incontrare Mario Ragni – il discografico che mi permise di iniziare questa avventura – , ad accompagnarmi personalmente a Sanremo nel 2007 e a vedere la mia crescita dall’interno. Se non fosse stato per lui io non avrei mai fatto nulla con la musica, perché fu la prima persona fuori dal contesto familiare ad interessarsi alle cose che scrivevo. Poi i nostri rapporti si sono interrotti per un periodo, ma ci siamo rivisti ed ora siamo ancora ottimi amici.»
Nel 1999 hai esordito nel mondo del cinema con il film “A domani”: raccontaci un po’ com’è andata questa esperienza e che emozioni ti ha lasciato.
«Fecero una selezione tra migliaia di ragazzi a Sassuolo, ma il regista Gianni Zanasi scelse me e mi fece interpretare l’amico del protagonista.
Fu un’emozione vedermi al cinema, anche se il film non ebbe un grande successo. Ricordo benissimo che andai a comprare il giornale ed in allegato trovai la Vhs. Fu un’ esperienza strana, il primissimo approccio con un obiettivo, la telecamera. Mi divertii molto.»
Nel 2007, invece, hai partecipato al Festival Di Sanremo con il brano “L’immagine che ho di te: che ricordi hai di quell’esperienza mediatica e che aspettative avevi?
«Non avevo aspettative. Avevo un disco pronto, nessuna casa discografica lo voleva, poi di colpo mi telefonarono per dirmi che avrei fatto un incontro alla EMI Music, l’unica casa discografica che non avevo visitato.
Andai a Milano, suonai due brani con la chitarra davanti all’allora vicepresidente Fabrizio Giannini che rimase entusiasta e mi fece firmare un contratto. Poco tempo dopo uscì il mio primo singolo “La mia generazione”.
Poi feci un’audizione davanti a Pippo Baudo e, così, entrai al Festival. Fu una grandissima emozione: ricordo decine di interviste, giornate lunghe, qualche foto e autografo, ma una grande responsabilità si accendeva in quei giorni dentro di me, poter cantare una mia canzone sul palco più importante di Italia. Un’esperienza importantissima e significativa nel mio percorso che ricordo sempre volentieri.»
Sappiamo che, negli ultimi anni, hai scritto diversi brani con Nek, come “E da qui”, “È con te” e “Hey Dio”: com’è nata questa collaborazione? E come ci si sente a dover lavorare con un’icona mondiale come Nek?
«Conosco Filippo da tanti anni: sono cresciuto con le sue canzoni, ho tutti i suoi dischi, sono stato iscritto al suo Fan club e ho visto moltissimi suoi show.
L’ho sempre ammirato per la sua grande capacità vocale e compositiva, ma ogni tanto mi presentavo a casa sua per far firmare i cd e le foto, da vero fan compulsivo quale sono tutt’ora. Nel tempo abbiamo collaborato a diversi brani, come “E da qui”, che ha ottenuto un grande successo. Era il 15 ottobre 2010 quando uscì: ero emozionatissimo.
La cosa che ricordo con più felicità è che la prima volta che ci trovammo a scrivere a 4 mani ero tesissimo: sentivo addosso un grande senso di responsabilità, anche se Filippo è una persona molto tranquilla.
Fu un’esperienza splendida perché, quando i veri artisti lavorano a stretto contatto con dei collaboratori, li fanno sentire sempre a loro agio e li ascoltano, accettando altri punti di vista. Questo mi torna spesso alla mente perché mi è successo di lavorare con persone che non avevano nessun tipo di curriculum, eppure si credevano già chissà dove.»
Per chi vorresti scrivere in futuro?
«Mi piacciono molto Emma e Annalisa.
Io vorrei scrivere per tutti, anche se è molto difficile. Ma non demordo: la tenacia non mi manca!»
Stai lavorando ad un album nuovo? Cosa dobbiamo aspettarci? Puoi anticiparci qualcosa?
«Sto lavorando a tante cose nuove, tra cui alcune canzoni a cui tengo molto. Ma per ora è tutto troppo prematuro per poter dire qualcosa di sicuro. Io scrivo sempre. Spero di poter realizzare presto il mio terzo disco.»
Sappiamo che sei molto attivo live, come va da questo punto di vista?
«Ho appena concluso una parentesi estiva di 35 date.
Sono sempre in giro, sui social trovate tutti gli eventi in cui potrete ascoltarmi dal vivo. Il live è la dimensione che preferisco in assoluto.»
Quali sono le tue aspettative per il futuro?
«Non ho aspettative. Vorrei solo continuare con la musica e fare sempre di più, vorrei essere curioso e farmi travolgere dalle emozioni il più a lungo possibile. Questo è il mio più grande desiderio!»
Che consiglio daresti ai giovani che, come te, vorrebbero intraprendere questo percorso?
«L’unica cosa che posso dire è di cercare una propria identità artistica, di lavorare tantissimo sulle canzoni, di farsi trovare sempre preparati e di essere disposti a rischiare tutto. Di coltivare l’amore per la musica come una vera passione e di non pensare mai a dove ti potrà portare. Se farai una bella canzone, potrà succedere qualcosa di buono.
Tutto parte da quanto ci credi tu, il resto è secondario.»
Rosaria Vecchio, creatrice di Pillole di Musica Pop, un piccolo spazio per gli amanti del pop, dove poter parlare di musica a 360°, senza particolari limiti o censure.
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