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Intervista esclusiva a Kemonia per il nuovo singolo “Low cost”
Intervista Kemonia

Intervista esclusiva a Kemonia per il nuovo singolo “Low cost”

Dopo aver conosciuto Tommaso Imperiali (cliccate qui per rileggere l’intervista), oggi vi presentiamo Kemonia, in rotazione radiofonica con il nuovo singolo “Low cost”. Conoscetela meglio nella nostra intervista!

Cantautrice, producer e fonica, Kemonia nasce e cresce a Palermo, ma di casa a Roma. La sua storia con la musica inizia in salotto, armata di una chitarra giocattolo e della convinzione che un giorno sarebbe partita in tour su un camper. La sua formazione è stata un continuo intrecciarsi di strumenti e discipline: dalla chitarra classica a quella blues, passando per il canto, il teatro e il musical. Dopo due anni di università, a ventun anni ha deciso di cambiare rotta: ha vinto una borsa di studio per un’accademia di arti performative ad Agrigento, ha studiato dizione, recitazione, tip tap e ha calcato palcoscenici in Italia e all’estero. Poi è arrivato il 2020, con il blocco totale del teatro, e Kemonia ha scoperto di avere un nuovo modo per esprimersi: la scrittura e la produzione musicale. Da quel momento, ha studiato sound design e fonia fino a farli diventare il suo mestiere. Laureata in Sound Design alla Panormusic di Palermo, collabora con Isola Degli Artisti come autrice e producer, lavorando a progetti come l’album di Maria Tomba.


Kemonia è un progetto in cui confluiscono tutte le sue influenze: elettronica, cantautorato, synth pop, hyper pop e la musica che l’ha cresciuta. Ama la black music, conosce a memoria la discografia dei Placebo e piange ascoltando Tenco. Il suo nome d’arte arriva da un fiume di Palermo che scorre nascosto sotto la città e si fa notare solo quando esonda. E, adesso, è arrivato il momento della sua esondazione: il 2025 segna il debutto dei suoi primi singoli, pronti a raccontare la frenesia dei rapporti moderni, la paura di restare indietro e il caos emotivo di una generazione sempre di corsa.

Ciao Kemonia, presentati ai nostri lettori.

«Ciao! Mi chiamo Kemonia e sono una cantautrice, producer e fonica. In breve: passo le mie giornate a muovere fader e le mie notti a scrivere musica.»

 

Quando e come hai incontrato la musica nella tua vita?

«È difficile trovare un momento specifico: la musica è la cosa che più mi fa vibrare l’anima da che ne ho ricordo. Da neonata, so che l’unico modo per i miei genitori di farmi addormentare era cantarmi tutto il repertorio musicale da loro conosciuto. Del tipo che iniziavano con i Depeche Mode e finivano (disperati) a cantarmi “Garibaldi fu ferito”, pregando che ne avessi abbastanza. Appena sono stata in grado di parlare e camminare, il tormento ai miei genitori ha preso una nuova direzione: ho cominciato ad andare in giro per casa strimpellando una chitarra giocattolo e dichiarando con fierezza che un giorno sarei andata in tour. Così, penso più per sfinimento che altro, i miei hanno deciso di comprarmi una chitarra e farmi iniziare a studiare.»

 

Sappiamo che hai interrotto gli studi universitari per definire il tuo percorso musicale: da allora hai vinto una borsa di studio per un’accademia di arti performative, hai studiato dizione, recitazione, tip tap e calcato palcoscenici in Italia e all’estero. Una scelta che, in fin dei conti, ti ha premiato. Non credi?

«A conti fatti, penso proprio di sì. Credo che ogni scelta implichi il sacrificio di qualcosa e, in questo caso, scegliendo di fare della musica la mia professione, ho sacrificato la stabilità e il comfort che potevo trarre da un percorso lavorativo per così dire “canonico”. E, nei primi tempi, ho sacrificato
anche un po’ il rapporto con la mia famiglia, che non era preparata a capirmi, ma che mi è stata comunque vicina, seppure con qualche resistenza e tanto scetticismo iniziale. Alla fine hanno capito anche loro che non sarei mai stata felice se avessi vissuto col rimpianto di non avere neanche mai
provato a vedere dove il mio impulso naturale verso la musica mi avrebbe portata. È stato un lungo seminare e la strada è ancora lunghissima, ma comincio a raccogliere i frutti e non smetterò mai di piantarne altri.»

Intervista Kemonia
Percorso che si è ulteriormente evoluto a partire dal 2020. Con l’arrivo del Covid, infatti, ti sei lanciata in una nuova sfida, quella del Sound Design, in cui ti sei laureata e che, oggi, rappresenta parte fondamentale del tuo lavoro. Come mai sei arrivata a questa scelta, in un momento storico in cui gli artisti hanno vissuto uno stato di insofferenza?

«Mi sono approcciata alla produzione per rispondere a una necessità molto semplice: cominciavo a scrivere i primi brani, ma non lavoravo per via dei teatri chiusi, quindi non avevo i soldi per farmi produrre le demo da qualcuno. Così mi sono armata di pazienza e ho studiato da tutte le risorse gratuite che internet mi metteva a disposizione, smanettando al contempo con Garage Band sul computer di mia sorella. Con l’esperienza e la testardaggine ho raggiunto un buon livello di partenza, nell’attesa di mettere da parte i soldi e iniziare a fare sul serio. È stato un processo lento, ma ho cominciato a sviluppare un piccolo home studio e a produrre anche per altri artisti. Ed è lì che ho capito quanto mi sarebbe piaciuto farne il mio lavoro e diventare una professionista della tecnica audio.»

 

Decisione che, poi, ti ha portato a collaborare con alcuni artisti del calibro di Maria Tomba. Com’è stato lavorare con lei?

«Una delle più belle collaborazioni a cui potessi ambire. Maria è un’artista vulcanica, ma è anche e soprattutto una persona sensibile e di immenso talento. Mi sento molto affine alla sua visione artistica e, quando mi è stato chiesto di produrre per lei, sono stata subito grata e felice di poter
collaborare con lei. ”Disastro” è il titolo del brano che ho prodotto per il suo album (uscito lo scorso Febbraio, durante la sua partecipazione a Sanremo nella categoria Nuove Proposte) ed è stato non solo stimolante, ma anche divertente. E divertirsi mentre si lavora penso sia uno dei piaceri più rari e appaganti che si possano sperimentare.»

 

Il 2025 segna un anno di sfide, ovvero la pubblicazione dei tuoi primi singoli, tra cui “Low cost”, uscito lo scorso 14 Marzo. Com’è nata l’idea della sua creazione e produzione? E che impatto sta avendo sul pubblico?

«“Low Cost” è un pezzo che è nato dalla necessità di buttare fuori delle riflessioni in un momento nel quale stavo rimettendo insieme i pezzi. Venivo da un periodo nel quale mi ero trascinata da una “situationship” all’altra, di pseudorelazione in pseudorelazione, sempre con persone che, in qualche modo, non erano disposte ad investire in un rapporto, ma neanche ad essere oneste e chiare a riguardo. Davo tanto e ricevevo indietro circa un quarto di ciò che avevo dato. Così mi sono messa una mano sulla coscienza e sono arrivata a due domande fondamentali: in primis mi sono chiesta che cosa mi spingesse ad accontentarmi sempre delle briciole, dopodiché mi sono interrogata sul cosa spingesse le persone a cercare rapporti che sanno vagamente di relazione, ma che non vogliono essere etichettati come tali. E una sera, di getto e senza preavviso, ho scritto “Low Cost”, con una chitarra in mano e un testo lanciato nudo e crudo direttamente fuori da me. Devo dire che i feedback che ho ricevuto mi hanno riempito il cuore. Una persona mi ha detto “questo è un inno, perché parla proprio di noi”. E questo per me vale tantissimo, perché quando qualcuno si riconosce in ciò che scrivo mi sento al posto giusto.»

Un brano che racconta il paradosso delle relazioni contemporanee: emozioni usa e getta, sentimenti a basso costo e rapporti in scadenza come prodotti sugli scaffali, facili da prendere, consumare e sostituire. Difficile, per te, trattare argomenti così attuali, ma altrettanto scomodi?

«In realtà è stato uno dei brani che ho scritto con più facilità. Ho capito, crescendo e imparando a conoscere meglio i miei impulsi artistici, che nella critica so essere rapida, precisa e tagliente come un bisturi. Ciò non vuol dire che non mi ponga tanti dubbi e che non rimaneggi i testi varie volte, ma
quando scrivo entro in una modalità a sé stante, in cui tutti i pensieri negativi su ciò che non mi piace del mondo si manifestano da soli e diventano canzoni.»

 

“Low Cost” è il racconto perfetto della vita sentimentale nell’era del tutto e subito. Perché, oggi, le storie nascono “crush”, crescono “toxic” e finiscono in terapia. Tu come vivi le tue relazioni?

«Devo dire che, ormai, le vivo soprattutto con basse aspettative. Ma, scherzi a parte, ho iniziato a viverle con più leggerezza e stando nel presente. Ho imparato a lasciare che i rapporti si sviluppino seguendo il loro corso naturale e, soprattutto, ho imparato a non dare più di ciò che ricevo.
Crescendo ho capito che le basi imprescindibili di una relazione sono: comunicazione, onestà totale e presenza. Quando anche solo uno di questi pilastri viene a mancare, per me il rapporto crolla. E un’altra cosa importantissima che ho imparato è quella di sapermene andare
quando questo succede.»

 

Qual è, secondo te, la soluzione ideale per porre fine a questo sentimentalismo corrosivo?

«La soluzione è la lentezza, uscire dalla logica della performance che ha corrotto anche la sfera relazionale. Dobbiamo andare piano, prenderci il tempo di sentire ed essere chiari con noi stessi e con gli altri. E smettere di privilegiare gli obiettivi rispetto alle connessioni.»

Intervista Kemonia
In questo progetto confluiscono tutte le tue influenze: elettronica, cantautorato, synth pop e hyper pop. Quali sono i tuoi modelli artistici di riferimento?

«Una parola chiave nel mio modo di fare musica è “contaminazione.” Ascolto di tutto, non discrimino generi e faccio tesoro di tutte le cose belle che posso trarre da ciò che sento. Sperimento anche tanto, quindi ciò che scrivo risente sempre tanto di ciò che ascolto nel periodo nel quale lo scrivo.
Però, dovessi elencare dei punti fermi intramontabili per me, chiamerei in causa: Battiato, Levante, Stromae, Serena Brancale, Erykah Badu, Cosmo.»

 

Il progetto è molto interessante anche dal punto di vista grafico, dato che segue lo stesso filo conduttore del brano. Il singolo, infatti, si trasforma in una lattina da supermercato, pronta per essere aperta e dimenticata alla prima scadenza emotiva. Possiamo dire che, pur ispirandoti alla Pop Art, in questa copertina è racchiuso tutto il tuo mondo/studio?

«Sì, mi sento di dire che questo concept è figlio di tanti spunti, esperienze e visioni che mi abitano dentro. Ho sempre avuto un debole per la Pop Art e per ciò che si propone di rappresentare. E ho pensato “quale stile se non questo, che celebra il consumismo e lo denuncia al contempo”? Ed è così che le lattine, i barattoli con scritte come “Relazioni superficiali in salamoia” o “Pesto di attaccamento evitante” hanno preso forma, per aiutarmi a veicolare in modo ancora più efficace l’idea che viviamo delle dinamiche prodotte in serie, inscatolate in un packaging accattivante e pronte per il nostro uso e consumo.»

 

Facendo un passo indietro e tornando ai tuoi esordi, sappiamo che il tuo legame con la Sicilia è riemerso anche quando hai deciso di trasferirti a Roma, vedi gli studi ad Agrigento o la laurea a Palermo. Quanto è stato importante, per te, raggiungere questi traguardi nella tua regione di
provenienza?

«Devo ammettere che non è stata proprio una scelta voluta. La mia permanenza in Sicilia è stata dettata più che altro da circostanze familiari ed economiche, il che mi ha portato a vivere la mia vita lì come una costrizione. Mi sentivo fuori posto a Palermo, incapace di essere me stessa e appesantita da tantissime cose. Ma ho portato avanti i miei progetti e ho continuato a studiare per prepararmi ad andarmene, a scegliere un posto dove potessi ricostruirmi. Ho scelto Roma, un po’ per caso un po’ per istinto, e non me ne sono pentita perché sento che altri traguardi, ancora più importanti, li raggiungerò qui.»

 

Pensi, quindi, che una terra come la Sicilia non sia in grado di dare un futuro ai propri “figli d’arte”?

«Penso sempre alla Sicilia come ad una madre anaffettiva: fa figli, li tratta male e, inevitabilmente, li lascia andare. Negli ultimi anni in cui ho abitato a Palermo la città si è lentamente svuotata di tutte le persone che conoscevo. E questa è sicuramente una di quelle cose che ha contribuito a farmi sentire sempre più sola e fuori posto lì. Questo non significa che non ci siano opzioni per chi resta. Il problema è che, se resti, devi iniziare a combattere contro i mulini a vento. Nonostante ciò, conosco tantissima gente di immenso talento che è rimasta e che ha tutta la mia ammirazione per averlo fatto e per il lavoro che svolge. Questi talenti ogni giorno suonano, creano, organizzano eventi, fanno formazione e si scontrano, al contempo, contro i suddetti mulini a vento, ovvero un’amministrazione menefreghista, infrastrutture carenti e una mentalità popolare autodistruttiva per la quale “è tutto inutile, lasciamo le cose come sono”. Ed è chiaro che, senza una presa di responsabilità collettiva, le cose non possono cambiare, indipendentemente da quanto lavorino sodo le persone che restano.»

 

Lasciaci un’immagine che vorresti venisse subito in mente a chi pensa a Kemonia.

«Vorrei che si pensasse al fiume del quale ho adottato il nome, Kemonia, che scorre sotto la città di Palermo. Vorrei che si pensasse a me come qualcosa che scorre sempre, pure quando non lo vedi o viene sotterrato dagli eventi. Scorro sempre, qualunque cosa accada.»

Intervista Kemonia

Scritto da: Rosaria Vecchio

Rosaria Vecchio, creatrice di Pillole di Musica Pop, un piccolo spazio per gli amanti del pop, dove poter parlare di musica a 360°, senza particolari limiti o censure.

Scritto da: Rosaria Vecchio

Rosaria Vecchio, creatrice di Pillole di Musica Pop, un piccolo spazio per gli amanti del pop, dove poter parlare di musica a 360°, senza particolari limiti o censure.

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