Gaia Costantini, in arte Melga, si scopre musicista tra banchi di scuola ed aeroplani di carta.
A diciassette anni, con una valigia piena di note e parole, inizia il suo viaggio musicale.
Predilige un sound diretto e fresco spaziando tra sonorità acustiche, tipiche del cantautorato, a quelle più attuali della musica elettronica.
È indie ma non solamente, è pop ma non troppo. I suoi testi, pur trattando temi alle volte difficili da raccontare in sintesi, risultano leggeri ma mai superficiali.
Nel 2015 registra il suo album di esordio intitolato “Rattopparte”, una raccolta di storie ed emozioni.
Nel 2016 inizia ad esibirsi live per il suo primo tour che include l’apertura del concerto dei Modena City Ramblers a Cosenza e la partecipazione alla Raffo Fest di Taranto.
Nel 2017 esce il suo secondo disco dal titolo “Buco” e dà il via ad un tour che include le aperture dei live di Erica Mou, Lorenzo Kruger e Management del dolore post-operatorio.
Suona nella prima edizione del Cinzella Festival e viene riconfermata nella line up della Raffo Fest. Nel 2018 suona sul palco dell’Uno Maggio di Taranto, prende parte al Med Festival, alla manifestazione Donna A Sud ed al TedX Taranto in cui c’è come ospite Brunori S.a.s..
Nel giro di due anni colleziona oltre cento concerti. Suoi nuovi brani vedranno la luce nel 2019.
Ciao Melga, presentati ai nostri lettori.
«Sono Melga, una cantautrice pugliese con la fisarmonica celeste e l’amore per le parole.»
Quando e come hai riconosciuto la musica nella tua vita?
«La musica nella mia vita è nata un po’ come un fiore selvatico che sceglie dove crescere, ma non sa ancora cosa effettivamente sarà.
La mia non è una famiglia di musicisti, ragion per cui il tutto è stato molto spontaneo e naturale. Quando avevo 8 anni mi ritrovai per “caso” ad assistere ad un recital pianistico. Da quel momento iniziai a studiare pianoforte sino ad iscrivermi al conservatorio, all’età di 13 anni.
È stata molto dura comprendere il valore dello studio (perché un conto è suonare, un altro è conoscere e studiare la musica), soprattutto i primi anni, quando restare incollata sullo sgabello del pianoforte era davvero dura.
Ora, dopo 10 anni di sacrifici, mi sto per laureare in pianoforte, ma nel frattempo sono successe tante cose. Davvero tante. A ciò si aggiunge il valore che il liceo classico ha dato alla mia vita: mi ha donato l’amore per le parole e la voglia di costruire un mio pensiero critico.
Successivamente, verso i 16 anni, ho integrato lo studio del canto e da autodidatta a quello della fisarmonica, sino a trovare una parte di me che non conoscevo: Melga.»
Quali sono le canzoni che hanno segnato la tua infanzia?
«La mia infanzia? Bella domanda!
L’infanzia è un periodo fondamentale, forse più determinante dell’adolescenza. Se ripenso a quei momenti le canzoni che mi vengono in mente sono quelle che mia madre mi regalava prima di dormire e sicuramente tutto il contesto anni 70-80 apprezzato da mio padre (Elton John e Stevie Wonder, per citarne alcuni).»
E le tematiche che ti stanno più a cuore?
«Le tematiche, personalmente, sono il fulcro di tutto.
Adoro il processo di costruzione di una canzone: dall’ideazione alla sua creazione.
Spesso, prima di iniziare a scrivere un pezzo mi dico “ok, cosa voglio raccontare alla gente questa volta?” e puntualmente mi ritrovo a narrare storie di pazzi, di gente comune, di chi è spesso ultimo in una società malata. Narro delle contraddizioni che determinano l’andamento del mondo e spesso in questo parlo anche inconsapevolmente d’amore.
Di sicuro la tematica sociale è quella che prediligo, senza mai, però, precludere altro.
Alla fine quando si scrive ci si rende conto che tutto è collegato da un filo invisibile.»
Qual è il valore aggiunto che un musicista deve possedere per poter fare questo mestiere?
«Questa è una domanda semplice ma letale, perché concretamente pone il musicista dinanzi ai propri limiti. Oltre l’umiltà, il valore aggiunto è l’amore. L’amore è il contrario dell’egoismo. Dico questo perché ci vuole amore per il pubblico quando sei su un palco, anche se ad ascoltarti son solo tre persone. Ci vuole amore nel scegliere le persone che sostengono concretamente il tuo progetto (dal producer al fotografo). Ci vuole amore quando decidi di assumerti la responsabilità di ciò che canti.
Tanti musicisti si perdono nelle dinamiche che il mercato musicale spesso presuppone, dimenticando il perché si faccia questo mestiere. Questa è una cosa che mi sono imposta di non fare mai: lasciar modellare la mia identità artistica e umana insieme ai miei valori.»
Negli anni hai collaborato con diversi artisti che hanno contribuito a scrivere pagine importanti della musica italiana. Come pensi sia cambiato il concetto di pop negli ultimi anni?
«”Pop” sta per “popular song” quindi “canzone popolare”. Il Pop è la musica del popolo che riflette i suoi valori e le sue sfaccettature, ma attualmente è diventata anche la musica delle radio, delle visualizzazioni, degli streaming, il che non è sbagliato se le due cose viaggiano parallelamente.
Nel panorama attuale vedo tante ripetizioni, tante copie, e poca originalità. Questo perché l’ondata del genere “indie” ha completamente deformato la musica: il pop non è più pop, l’indie non è più indie. Ma non temete, c’è ancora tanta gente come Niccolò Fabi, Brunori Sas o la stessa Francesca Michielin (per citarne alcuni) che stanno realizzando percorsi discografici meravigliosi. Questi sono artisti che salvaguardano la propria arte con uno sguardo nel passato e uno nel futuro.»
A proposito di collaborazioni, sappiamo che hai aperto i concerti di Erica Mou, Lorenzo Kruger (Nobraino), Managment del dolore post-operatorio e Modena City Ramblers e suonato al fianco di Brunori Sas al TEDX di Taranto. Che tipo di esperienze sono state?
«Le aperture dei concerti sono sempre state grandi momenti di festa.
Ricordo l’emozione che ho provato quando ho conosciuto Erica Mou, una delle penne più eleganti che abbiamo in Italia. Seguivo Erica da quando avevo 15 anni, immaginate poi la mia gioia quando ho suonato prima di lei. Altra importante soddisfazione è stata la partecipazione nel 2018 al TedX di Taranto con Brunori Sas, artista umilissimo che avevo già conosciuto al primo Maggio di Taranto dello stesso anno. Al TedX abbiamo scambiato due chiacchiere ed è stato bello sentirsi a proprio agio, poi lui è calabrese, io sono pugliese e ci siamo capiti subito.»
È ormai passato un anno dall’uscita del singolo “Dicono che sono pazzo”. Ora, a mente fredda, qual è l’aspetto di cui sei maggiormente orgogliosa?
«Dopo tempo guardo quella canzone con tanto orgoglio. Per me è stato un traguardo pubblicare “Dicono che sono pazzo” non solo per una questione artistica, ma anche di sperimentazione. Innanzitutto la fase di produzione, con Alberto Dati, è stata un continuo scambio di idee e stimoli e il tutto è avvenuto in maniera molto naturale.
La creazione del video è stata ideata da me, ma senza la professionalità di Giuseppe Rosato e del ballerino Giuseppe Venneri non sarebbe stata la stessa cosa. E poi sono consapevole che sia un pezzo un po’ inusuale, ma a me andava di farla ascoltare al mondo. Ne è valsa la pena.
Questa canzone mi ha aperto tante strade: dalla Campania a Roma, dalla Sicilia a Sanremo, sino ad arrivare ad essere tra i 30 finalisti del contest NEXT primo Maggio. Sono davvero felice.»
Quali sono le maggiori difficoltà che hai incontrato fino ad ora?
«In primis le maggiori difficoltà le ho incontrate, come la maggior parte degli artisti, in alcune relazioni professionali. Ma per fortuna si sa, il tempo fa sempre il suo corso.
Poi, sicuramente, cerco sempre di superare i miei limiti personali: ora la ricerca della semplicità è diventato il mio motto. Di sicuro sto incrementando la consapevolezza che solo l’esperienza può dare, quindi il saper riconoscere situazioni, contesti e fare sempre le scelte giuste.»
Qualche novità in vista che vorresti condividere in anteprima con noi?
«Sto prendendo il tempo necessario per organizzare le idee e lavorare al mio prossimo album. Questo è il mio obiettivo principale.»
Lasciaci un’immagine che vorresti venisse subito in mente a chi pensa a Melga.
«Una fisarmonica e una ragazza gipsy abbracciate sul palco.»
Rosaria Vecchio, creatrice di Pillole di Musica Pop, un piccolo spazio per gli amanti del pop, dove poter parlare di musica a 360°, senza particolari limiti o censure.
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