Dopo aver conosciuto Miglio, oggi vi presentiamo i Salento All Stars, collettivo salentino fondato da Davide Qba Apollonio.
Davide Qba Apollonio, fondatore degli Après La Classe e dei Granma è, tra le altre cose, autore del brano più rappresentativo del Salento “Salentu, lu sule, lu mare, lu jentu” che nel 2014 ha compiuto vent’anni e, per l’occasione, è stato reinciso in una nuova versione coinvolgendo tantissimi musicisti, dando vita al progetto Salento All Stars.
In questi mesi, i Salento All Stars hanno lavorato alla stesura del nuovo singolo “L’era del cigno bianco” e di altri due brani, di prossima uscita, “Rollin” e “Nice Day”, che fanno parte della colonna sonora del film “Cobra non è”, del regista Mauro Russo, disponibile su Amazon Prime Video.
“L’era del cigno bianco” è una canzone scritta di pancia in un mattino piovoso di Marzo, mentre alla televisione passano le immagini dei camion dell’esercito con il loro pesante carico di vite spezzate dal Coronavirus.
La canzone è incisa, in piena quarantena a distanza, fra il Salento e Roma, attingendo alle forti emozioni dello scorso Marzo, traslando in parole e musica ogni sfumatura di questo drammatico evento. Con questo brano i Salento All Stars auspicano un ritorno all’era del cigno bianco, una nuova normalità dove avremo imparato a godere delle piccole e grandi cose che prima consideravamo scontate e insignificanti. Ritornare ad un mondo che ci veda migliori e più consapevoli della fragilità dell’Uomo e del pianeta Terra.
Continuate la lettura se volete conoscerli meglio!
Ciao ragazzi, ci raccontereste chi siete, come vi siete conosciuti e, soprattutto, come siete arrivati alla formazione attuale?
«In realtà Salento All Stars è una band piuttosto atipica. È una specie di collettivo musicale salentino al quale, al momento, hanno preso parte quasi 60 musicisti del nostro territorio. Ovviamente non siamo in 60 sul palco, ma la formazione si è consolidata alle 5 persone che maggiormente rappresentano l’identità del gruppo.
Ci siamo conosciuti suonando ed incrociandoci in diverse band e abbiamo instaurato un legame ed un feeling che si è rivelato fondamentale sul palco.»
A cosa dobbiamo la scelta di “Salento All Stars”, il vostro nome d’arte?
«Parte da lontano. Nel 1994 scrissi una canzone che, dal 1996 in poi, diventò famosa in una mia band precedente, gli Après la Classe. La canzone è “Salentu, lu sule, lu mare, lu jentu” e nel 2014, per il suo ventesimo compleanno, decisi di reinciderla invitando in studio diversi amici musicisti del nostro territorio. Questo “contenitore” era una vera e propria All Stars: da lì fu facile chiamare il progetto “Salento All Stars”.»
È stato semplice conciliare i trascorsi musicali di ciascuno di voi e creare un’identità di gruppo ben definita?
«È stato facile, proprio perché nei SAS non viene richiesto di snaturarsi, ma di fondere il proprio background musicale con quello degli altri per creare un melting pot sonoro dove il rock si mescola con il reggae, l’elettronica, la pizzica ed il folk. E questa è la nostra identità musicale.»
Nella fase iniziale della vostra carriera, probabilmente, avrete affrontato alcuni ostacoli legati alla logistica e all’aspetto economico. Quali difficoltà sono sopraggiunte e come siete riusciti a finanziarvi?
«Siamo nel tacco d’Italia, lontani dall’industria musicale ed ovviamente questo ci penalizza logisticamente. D’altra parte ci rafforza, perché la gente del Sud sa di dover dare il triplo per poter raggiungere un obiettivo. Questo ci rende tenaci, testardi, capaci di fare cose impossibili. Quando si crede nelle proprie idee, finanziarsi non è un problema perché si è convinti di sacrificare mille aspetti della propria vita pur di portare avanti la propria musica. Oltre a questo, bisogna dire che in Puglia c’è un occhio di riguardo dalla Regione che, attraverso “Puglia Sounds”, aiuta economicamente i propri artisti a sviluppare sia artisticamente che economicamente i propri progetti. Proprio in questo modo stiamo producendo “L’era del cigno bianco”, il nostro secondo album, in uscita a Novembre 2020.»
Scegliete tre aggettivi che mettano in risalto la vostra identità.
«Caleidoscopici, salentini, cocciuti.»
Un brano che colpisce per intensità emotiva è “L’era del cigno bianco”, una canzone scritta di pancia in piena emergenza Covid. Vi ricordate ancora le emozioni/paure di quel momento?
«È una canzone forte, che abbiamo scelto anche per il titolo del full album.
Avevamo cominciato le incisioni del disco e questo brano non era previsto, è nato da solo. È stata un’esigenza, quella di descrivere le nostre sensazioni, ansie, paure e speranze mentre in televisione passavano i camion dell’esercito che portavano via le bare dei deceduti.
Per noi è stato molto importante pubblicarla perché crediamo di aver fermato, in una canzone, un periodo storico che resterà scolpito indelebilmente nella nostra memoria. “L’era del cigno bianco” è una specie di macchina del tempo, che quando riascolteremo in futuro saprà portarci indietro, calandoci in una dimensione che sarà impossibile dimenticare.»
Sappiamo che il singolo è stato inciso a distanza, tra Roma e Salento. È stato difficile lavorare a distanza? O l’utilizzo di nuovi mezzi di comunicazione vi ha agevolato in qualche modo?
«Abbiamo fatto di necessità virtù. Eravamo in pieno lockdown, chiusi in casa, ma per fortuna ognuno di noi possiede un piccolo home-studio. Così “la cabina del Granma”, il nostro studio di registrazione, è diventato una specie di hub nel quale arrivavano le idee e le incisioni di tutti i musicisti che hanno partecipato alla registrazione di questo brano. Certo, non è come quando si lavora fianco a fianco smanettando sulle manopole degli amplificatori alla ricerca del giusto sound, ma siamo stati bravi a capire cosa volevamo per questo brano e intrecciando le nostre sensazioni ed emozioni tra il Salento e Roma siamo riusciti a trasformarle in musica.»
“L’era del cigno bianco” è l’apripista di un progetto di prossima uscita. Ci potete anticipare qualcosa?
«Assolutamente si! Stiamo ultimando le registrazioni dell’album e lo stiamo facendo un po’ nel Salento, nella “cabina del Granma”, ed un po’ a Roma, nello studio di Peppe Levanto. Conterrà 10 brani, in cui abbiamo concentrato i nostri ultimi cinque anni. Sarà un lavoro appassionato e schietto, dove racconteremo di noi, delle nostre speranze, ansie e della nostra terra.»
In un contesto come quello italiano, suonare dal vivo è fondamentale per farsi conoscere e apprezzare dal pubblico. Voi come vi approcciavate a questo scenario, prima dell’avvento del Coronavirus? E cosa cambierà, secondo voi, una volta ripartiti?
«Sul palco siamo molto energici e ci piace scambiare questa energia col pubblico di fronte. Il Coronavirus ha reso tutto ciò impossibile. Così a Marzo abbiamo deciso di fermare qualunque attività live perché non sarebbe stata la stessa cosa. Il distanziamento sociale non fa per noi, ma per la salute di tutti ora è necessario. Per questo abbiamo bloccato tutto, magari prossimamente faremo qualche show-case per la presentazione dell’album, mentre per i live rimandiamo a quando si potrà nuovamente suonare come prima.
La gente ha voglia di andare ai concerti, di viverli appiccicati, di ballare e di cantare. Quindi crediamo e speriamo che quando si potrà ripartire, pian piano si ritornerà alla normalità, senza dimenticare ciò che è accaduto.»
Che consiglio dareste ai giovani alle prime armi?
«Di credere nelle proprie idee, di proteggerle e di lottare sempre per esse. Ne vale la pena.»
Rosaria Vecchio, creatrice di Pillole di Musica Pop, un piccolo spazio per gli amanti del pop, dove poter parlare di musica a 360°, senza particolari limiti o censure.
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